Gigo

Era freddo, seduto sotto un albero Gigo stava raggomitolato, aspettando la luce solare che sarebbe giunta in poche ore per riscaldarlo. Era una notte serena e si vedevano distintamente tutte le stelle del cielo, la luna era soltanto un esile spicchio e non riusciva a far luce nel parco, dove il povero uomo stava impaurito sotto ad un platano con le mani strette al corpo e con le dita gelate che uscivano dai guanti rotti. Era il periodo di transizione tra inverno e primavera, ma ad Asciba c’era ancora un lieve manto di neve, che sarebbe rimasto ancora per qualche giorno, prima di essere trasformato in acqua ed assorbito dal terreno, da cui sarebbe uscito nelle calde notti d’estate per andare in cielo, per poi tornare l’inverno prossimo come nuovi fiocchi.
Gigo tremante, oltre che il freddo sentiva paura. Vedeva delle ombre muoversi intorno a lui. Il parco era vuoto e morto, non c’era vita in quel luogo; ma fra alcune settimane ci sarebbe stata e per questo Gigo era contento, lui amava vedere la vita, la primavera sarebbe tornata. Sì, é questo che lui aspettava, voleva sentire i canti degli uccelli, le risa dei bambini che giocavano con le altalene e le giostre, i colori, i fiori. Era questo che lui amava e aspettava con impazienza. I suoi amici sarebbero tornati, i bambini sarebbero dinuovo stati con lui, e lui avrebbe riso con loro, riso come stava facendo adesso, con questi pensieri gioiosi nella mente, mentre aspettava quelle due stagioni che lui adorava: la primavera e l’estate. Queste si che erano stagioni, non come l’autunno e l’inverno che rappresentavano la sua solitudine e le sue paure. Certo, anche l’estate aveva i suoi difetti, come ad esempio i poliziotti che gli impedivano di stare nel parco di sera, ma questo era trascurabile: in estate era caldo e perciò sarebbe andato al fiume a dormire, non c’erano problemi.
Le preoccupazioni c’erano nei mesi di freddo: non c’era più nessuno al parco e Gigo restava solo, le notti erano lunghe e c’erano strani rumori. Aveva capito che alcuni di questi rumori erano fatti dai corvi, quei brutti uccelli neri che lo terrorizzavano fin da piccolo. Si ricordava sempre sua madre che diceva di fare il bravo, altrimenti i corvi gli avrebbero mangiato il naso.
-No!! Il naso nooo!- gridò in quella notte oscura di "quasi primavera", il naso non doveva essere ferito -Il naso no! Dio ti prego, il naso lasciamelo, manda via quelle bestie nere- e sentendo dei rumori e vedendo delle ombre si mise la testa fra le ginocchia e piangendo continuò ad implorare il signore di risparmiargli il naso. Dopo alcuni minuti le lacrime gli si asciugarono sul viso, la paura si affievolì, e si addormentò.
Il piccolo parco d’Asciba aveva una strada principale che costeggiava un laghetto artificiale circondato da aiuole e da piante di diverso genere. Questa strada aveva delle piccole diramazioni che portavano ai diversi lati del giardino. Una stradina entrava in un piccolo bosco d’abeti, nel quale c’erano delle panchine di granito dove in estate le giovani coppie di fidanzati si divertivano a baciarsi ed a pomiciare. Un’altra via portava ad un ponticello situato sul lago e raggiungeva una piccola capanna costruita su palafitte al centro dello stagno. Questo luogo era stato pensato per le persone anziane, che da un posto coperto dai raggi del sole potevano guardare tutto il parco e sedersi su delle panchine di legno per discutere della vita con i loro amici. Infine l’ultima diramazione portava al parco giochi dove, oltre alle solite altalene e giostre, c’era un castello fatto in tronchi di legno. Dall’esterno sembrava un forte come quelli degli americani ai tempi del Far West, ma all’interno c’erano ponti di corde, varchi fra varie parti delle costruzioni chiamati dai bambini "passaggi segreti", e al centro c’era un cannone di bronzo con una canna così grande che un bambino piccolo ci poteva star dentro comodo.
Gli alberi che dominavano il parco (oltre gli abeti del bosco degli innamorati) erano i platani. Ce n’erano un po’ dappertutto e uno era situato davanti al forte. Sotto a quello c’era il povero uomo deforme e ritardato, di dubbia età, che era stato nominato "il custode" dal ragazzino che l’estate precedente era stato il capo della banda dei bambini del parco. L’estate era finita, era arrivato l’autunno e il gobbo di nome Gigo era rimasto solo, senza amici. Era quasi passato l’inverno e ora lui era ancora solo, ma contento che Dio lo avesse aiutato a difendere il suo bel naso dalle insidie della notte. Per Gigo contavano solo due cose: Primo, i suoi amici bambini. Secondo, il suo grosso naso, che secondo lui era l’unica cosa bella che Dio gli avesse dato. Ma aveva ricevuto un altro regalo dal signore, che non sapeva di possedere. Era la sua bontà e generosità. Lui era un essere tranquillo e sereno, anche se ogni tanto aveva paura, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutare i suoi amici bambini. Infatti, una volta aveva aiutato a rialzarsi una bambina che era caduta con la bicicletta, lei si era ferita ad un ginocchio e perdeva del sangue. Lui cercò di tamponare la ferita ma udì delle grida giungere da dietro le sue spalle. Era la madre della ragazza che gli gridava di lasciare sua figlia, urlava che un mostro aveva ferito la sua bambina. Gigo si sentì addosso gli sguardi di tutte le persone del parco e così scappò senza capire cosa avesse fatto.
Gigo viveva l’anno in due fasi. Quella delle stagioni buone, che passava in compagnia e in cui era felice, e quella delle stagioni cattive in cui era solo e impaurito. Distingueva con difficoltà il bene dal male, sapeva solo che: "Cattiva é la persona che picchia gli animali "come diceva sempre la sua buona mamma che aggiungeva "ma tu non sei un’animale perciò ti picchio". Non capiva bene la frase detta dalla madre, perché quando veniva picchiato si faceva tanto male e a volte sanguinava. Diciamo pure che ogni volta che veniva picchiato sanguinava e a volte era ridotto da esser pronto per una visita d’urgenza all’ospedale. Ma la mamma deve per forza essere buona e perciò era giusto che fosse picchiato, come quella volta che aveva fatto pipì sul tappeto, oppure un'altra volta quando per sbaglio, cambiando il canale della Tv, aveva beccato un film per adulti (fu in quell’occasione che fu battuto fino a quasi perdere i sensi). C’erano tante occasioni in cui era stato maltrattato, ma secondo Gigo la madre era sempre buona e aveva sempre ragione.
Quella mattina fece un salto in città, per rovistare tra i rifiuti alla ricerca di cibo. Oggi era la sua giornata fortunata: trovò una mezza michetta di pane, delle ossa di maiale con ancora un po’ di grasso intorno, ma la vera fortuna era stata di trovare una mela marcia. Era da tanto tempo che non mangiava frutta e perciò era contento, e mangiando lentamente la mela per poterne assaporare tutto il gusto ritornò a casa sua, al parco.
Una volta arrivato, vide una sagoma in un cappotto rosso che stava sulla torre della fortezza, e riconobbe Mina, una delle bambine delle stagioni buone. Gli si riempirono gli occhi di lacrime e le corse incontro. Anche lei lo notò e si mise a correre e poi si abbracciarono, entrambi contenti di ritrovarsi dopo mesi passati senza vedersi. L’abbraccio durò per alcuni minuti poi Gigo la guardò. Era diventata grande, aveva lasciato crescere i suoi capelli biondi, ma i suoi begli occhi blu erano rimasti gli stessi.
I due parlando andarono a sedersi nella capanna sul lago. Mina gli raccontò della sua festa per il nono compleanno. Aveva invitato tutti gli amici e avrebbe voluto invitare anche Gigo, ma suo padre non glielo aveva permesso. Lui stava ad ascoltare interessato e il pomeriggio si misero a giocare nel forte, poi si tirarono palle di neve (ma lui cercava sempre di non beccare la sua amica), andarono sulle altalene e infine andarono sulla giostra e Gigo la fece girare talmente forte che quando si fermarono stavano quasi male, ma erano contenti di essersi ritrovati. Nei prossimi giorni sarebbero arrivati anche gli altri e allora il divertimento sarebbe salito alle stelle.
Alla sera, al momento di salutarsi, erano un po’ tristi di doversi lasciare, avevano però deciso che si sarebbero rivisti l’indomani. Quella sera Gigo avrebbe potuto dormire tranquillo perché stava per iniziare la bella stagione. Ma faticò a addormentarsi per l’eccitazione e allora si mise a ricordare l’estate passata.
L’ultima estate, la banda del parco aveva raggiunto i nove membri più il custode. Il capo gruppo era un biondino di nome Rick a cui piaceva comandare, ma lo faceva in modo da non rendersi antipatico alla faccia degli altri. Il gruppo contava sei ragazzi e tre ragazze, tutti dell’età d’otto o nove anni, tranne Rick che ne aveva dieci, perciò era diventato il capobanda. Il loro gioco preferito era l’attacco al forte. C’era un altro gruppo di ragazzi nel parco, erano più piccoli di qualche anno e perciò non erano ammessi alla vera banda ma potevano partecipare ai giochi con i più grandi. Il gioco della fortezza consisteva nel conquistare il castello assediato dai piccoli che tenevano in prigione le tre ragazze. Gigo faceva il custode, e Rick gli diceva di stare attento, le ragazze non dovevano scappare e i piccoli non dovevano maltrattarle nelle carceri. Il compito dei ragazzi più grandi era quello di penetrare nel castello per salvare le bambine e la vittoria finale andava sempre a loro, ma il divertimento c’era per tutti, anche per il povero ritardato, il cui compito era solo di stare seduto con le ragazze a parlare con loro. Ma per lui, essere il custode, significava avere un incarico di fiducia e perciò lo fece nel migliore dei modi, infatti, le ragazzine non scappavano mai, anche perché era troppo bello stare in compagnia di Gigo.
Un altro gioco molto amato era quello degli indiani, oppure nascondino. Nascondino era il gioco preferito da Gigo perché toccava sempre a lui a contare. Non che sapesse contare, perché non era mai andato a scuola, ma stare con gli occhi chiusi, appoggiato contro un albero ad aspettare che i bambini si nascondessero, era chiamato "fare la conta" e perciò Gigo pensava che quello fosse contare, anche se non aveva mai sentito parlare di numeri. Gli piaceva molto quel gioco, perché doveva cercare i suoi amici, e quando li trovava li prendeva e li portava in spalla fino all’albero per farli prigionieri. Non gli piacevano i prigionieri, e perciò era sempre contento quando l’ultimo bambino da prendere riusciva a fare il "libero per tutti", e tutta la banda urlava di gioia per esser stata liberata.
Un giorno un ragazzo di nome Jean aveva trovato una grotta nascosta sulle montagne che stavano dietro al parco. Per arrivare in quel luogo segreto ci volevano circa una ventina di minuti, e perciò il giorno in cui Jean decise di mostrare a tutta la banda il nascondiglio, avevano scelto di giocare agli esploratori e si diressero alla grotta a cercare un ipotetico tesoro. La strada era molto brusca ed erta, ed in un certo punto bisognava fare una decina di metri in un canale per il passaggio dell’acqua, che per fortuna in quella calda estate non scorreva. Il buco era molto stretto, era un rettangolo di 60 cm per 50 lungo dieci metri. Gigo riuscì a passare con qualche difficoltà perché aveva paura delle ragnatele, e forse potevano esserci i topi. Se qualcuno avesse per scherzo sfiorato la sua gamba, avrebbe preso un grandissimo spavento. Ma i ragazzi conoscevano la sensibilità e la paura del loro amico e perciò a nessuno venne in mente di spaventarlo.
Dopo il canale il sentiero continuava per altri dieci minuti tra il bosco e passava su cascatelle e passaggi d’acqua. Tutti si divertivano in quell’avventura, una volta arrivati alla grotta vi entrarono assieme e si misero a parlare di storie fantascientifiche e d’orrore. Gigo, che non conosceva tanti racconti, o se li era dimenticati, ascoltava interessato e mostrava visivamente le sue emozioni di paura o di tristezza quando una delle storie era orribile o finiva tragicamente. Prima di ritornare al parco tutti riposero un loro giocattolo od oggetto preferito nella grotta, per avere un tesoro da trovare l’anno seguente quando avrebbero rifatto quest’avventura.
Tutto questo era accaduto nella bella stagione, ed era finito con l’arrivo dell’autunno. Ma Gigo si addormentò con ancora i ricordi della splendida estate impressi nella memoria. E questi ricordi si tramutarono in sogni fantastici, dove lui viveva in una bella casa con tanto da mangiare e con la sua cara mamma accanto al letto che raccontava le favole della buonanotte.
Il mattino Gigo si svegliò di soprassalto, udendo un grido di una ragazza. Corse a vedere cosa succedeva e vide un uomo di mezza età chino con un coltello in mano, intento a violentare una ragazzina. La ragazza era mezza svestita e aveva diverse ferite su tutto il corpo, era ormai prossima alla morte. Gigo corse in aiuto della vittima e il predatore scappò prendendo la sua macchina che era posteggiata appena fuori dal parco.
Quando non riuscì più a seguire la macchina dell’assassino, Gigo tornò dalla ragazza ferita che dopo aver visto in faccia il suo salvatore disse soltanto una parola e morì. Lei gli aveva detto GRAZIE e la ragazza era la stessa che tre anni fa Gigo aveva aiutato a rialzarsi dalla caduta in bicicletta. Ma questa volta non c’era in giro la madre che gli correva incontro gridando che lui era un mostro che stava molestando sua figlia.
Una lacrima scese dal volto del ritardato e cadde su una ferita della ragazza, si mescolò con il sangue e andò ad arrossire la neve sottostante. Ed il prossimo anno entrambi sarebbero tornati in quel parco, ma in un’altra vita, sotto forma di nuovi fiocchi.
Arrivarono le macchine della polizia, e vedendo quell’essere abbracciato alla ragazza uccisa, cercarono d’arrestarlo per omicidio. Ma Gigo aveva capito che questa volta sarebbe stato più orribile l’opinione della gente di quella volta delle grida della mamma della ragazza. Perciò scappò subito, ma due occhi dietro un cespuglio lo seguirono.
Scappò lontano e gli inseguitori persero le sue tracce, si diresse verso la grotta e una volta arrivato entrò, si sdraiò sul gelido sasso e si mise ad osservare gli oggetti che i bambini avevano lasciato lì l’estate precedente. C’era una bambola di Mina, una spada di legno di Rick, un’automobilina di Jack e altri giocattoli, e il povero fuggitivo si mise a giocare.
Dopo alcune ore fu distratto dalla sua attività da dei rumori che provenivano da fuori, uscì e notò che c’era qualcuno nei cespugli, si avvicinò e vide il cappuccio rosso della giacca di Mina. Lei lo aveva trovato, i due si abbracciarono. Gigo era contento d’avere compagnia. La bambina ci aveva messo tanto ad arrivare da lui perché dopo aver visto dove si era nascosto, era tornata a casa a prendere da mangiare.
Così i due entrarono nella grotta con un sacco di provviste, la bambina aveva deciso di restare a vivere con Gigo nella loro nuova casa. La sera si coprirono con delle coperte e stettero abbracciati poiché faceva freddo. Si raccontarono ancora delle storie dei momenti felici e si addormentarono insieme.
La bambina e il povero ritardato vissero insieme felici per tre giorni, poi finiro il cibo e Mina andò in città da sola, perché sapeva che Gigo avrebbe avuto problemi con la polizia. Ma in città successe l’inevitabile: Mina che era stata data per dispersa, fu riconosciuta mentre andava a fare compere in un negozio, fu seguita dalla polizia fino alla grotta e lì la presero.
Sapevano che lì dentro c’era il mostro che aveva ucciso la ragazza nel parco, e sapevano che era stato lui a rapire Mina. Secondo l’opinione della polizia Gigo avrebbe detto alla piccola di non cercare di scappare altrimenti sarebbe stata uccisa e per questo che lei dopo avere fatto la spesa era ritornata dal suo carceriere, per paura. Ma Mina non aveva avuto il tempo di raccontare la vera versione dei fatti, né per quanto riguardava il suo presunto rapimento, né per l’assassinio al parco. Lei era stata testimone ed aveva pure riconosciuto l’assassino.
Le forze armate della polizia si disposero con le pistole puntate verso l’ingresso della grotta e il capitano chiamò l’uomo che era all’interno. Gigo uscì e si spaventò a vedere tutte quelle persone. Mina era trattenuta da un uomo e ciò non piacque al gobbo, lei stava cercando di scappare per raggiungere il suo amico ma l’uomo era più forte. Allora il ritardato si arrabbiò e si avventò sul poliziotto gli diede un pugno che gli sfigurò la faccia, prese la bambina e l’abbracciò. Le altre persone armate si spaventarono e tennero sempre il criminale sotto tiro, ma tra loro e il cattivo c’era la bambina e perciò non potevano sparare.
Uno dei poliziotti si staccò dal gruppo senza farsi vedere e salì sopra la grotta e da lì prese la mira per colpire Gigo.
Le due prede circondate dai predatori pronti a colpirli avevano paura e l’unica cosa che facevano era tenersi abbracciati. Si sentivano uniti, i loro corpi a stretto contatto, trasmettevano le sensazioni dell’uno all’altro e viceversa. Questo gesto lasciava trasparire apertamente l’amore fraterno che c’era nei due. Vicini, si sentivano sicuri e protetti.
Il colpo partì e Gigo fu ferito ad una spalla, lasciò l’abbraccio e in quel momento perse tutta la sua sicurezza, uno dei poliziotti prese la bambina, Gigo la volle liberare ma da tutto intorno partirono dei colpi che lo ferirono in tutte le parti del corpo.
Vide la sua vista diventare rossa, si accasciò al suolo, sentiva gli strilli di dolore di Mina, vedeva il sole sopra la sua testa e dopo alcuni secondi ne vide un altro. Mina lo stava accarezzando mentre piangeva e le sue lacrime cadevano sul volto del ferito. Lui la guardava con un sorriso sulle labbra.
-Ciao piccola, oggi vado a trovare mia mamma.- disse lui -Non piangere guarda il sole, è tornata la bella stagione.- Raggi luminosi entravano in quel bosco e colpivano le due figure mentre lasciavano oscuro là dove c’erano i poliziotti che guardavano stupiti quella scena.
-Gigo, non morire- la bambina aveva il volto distrutto dalla paura degli ultimi cinque minuti.
-Morire? Cosa significa morire?- Gigo era confuso per quella parola –Io sto per fare un grande viaggio. La mia mamma diceva sempre che sarebbe stata contenta quando avrei fatto questa gita. Deve essere una cosa bella se lei ci teneva tanto. Anche lei se n’è andata quando mi ha lasciato solo. Ma non so perché le persone l’hanno messa sotto terra in un baule. Forse erano invidiose che lei potesse fare il viaggio. Io non sarò messo in un baule vero?-
-No Gigo, tu non farai nessun viaggio tu resterai con me per sempre, ti prego non morire-
-Sto partendo, lo sento dentro di me, guarda il sole, sta diventando caldo, siamo entrati nella bella stagione, lì dove vado sarà sempre bello, vero?-
-Sì, ma non andare adesso- la bambina continuava a scuotere il corpo del suo amico per farlo alzare, ma lui restava per terra.
-Mina tu sei molto bella, non come Gigo che è brutto e non sa parlare, sono contento che i miei amici non sono come me, voi siete … voi siete… la mia… mia… GIOIA…-
E così si spense la vita di Gigo, era morto la mattina del 21 marzo, era proprio l’inizio della bella stagione e lui ha fatto il grande viaggio verso il mondo dell’eterna bellezza, dell’eterno calore, verso un luogo dove anche lui era uguale ai suoi amici e dove avrebbe potuto giocare per sempre.

E in quel mondo la sua felicità era immensa.

Forse vi chiederete chi fosse l’assassino della ragazza del parco, che Mina aveva riconosciuto: la bambina aveva visto il violentatore che era suo padre.
Ma questa è la tragica realtà di un mondo dove l’innocente è il colpevole, dove il diverso fa paura e dove dietro ad una persona normale si può nascondere il peggiore dei mostri.

He was an Innocent,
but the world has killed him
without remorses for the error.

©David Francescato 1997-2000


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